Se la scelta dei materiali può essere interessante o importante
nella fabbricazione di una custodia, questa diventa l'elemento centrale e
fondamentale nell'ARTE DELLA LIUTERIA.
La prima cosa che colpisce entrando in un laboratorio di liuteria è
la commistione di profumi e odori
che provengono da legni, vernici e collanti. È probabile che quelli che
sentiamo oggi non siano poi tanto diversi da quelli che si potevano sentire
entrando nella bottega di Stradivari: col passare dei secoli, infatti, l'arte
della liuteria è rimasta praticamente invariata.
"La sua soffitta-laboratorio è piena di legno, in ogni stadio di formazione dalle assi mute fino a violini, viole e violoncelli completi di corde e intonati. Un paio di ragazze in grembiule picchiettano e scalpellano. C'è un profumo celestiale: la complessa fragranza di molti legni diversi e oli, resini e vernici." (Una musica costante, 3.14 pag. 160)
La scelta dei diversi legni e pigmenti caratterizzava le varie
scuole di liuteria, come i singoli maestri:
"Robbia. Quello splendido colorante rosso carico. Che effetto deve aver fatto dopo quei gialli pallidi. Stradivari lo usa a Cremona e Gagliano a Napoli e Tononi a Bologna." (Una musica costante, 3.14 pag 161)
Laboratorio Trabucchi, Cremona |
Nell'immaginario collettivo il liutaio per antonomasia è ANTONIO
STRADIVARI. Questo perché gli strumenti da lui costruiti vengono considerati i
migliori e stabilirono i canoni e le misure secondo cui furono costruiti gli strumenti successivi. Gli
strumenti, infatti, essendo macchine, hanno subito un'evoluzione e una
canonizzazione dei loro parametri.
Stradivari nel suo laboratorio, acquaforte a colori, XIX secolo.
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Stradivari usava per i suoi strumenti il legno dell'abete rosso della Val di Fiemme che, insieme all'acero, è uno dei legni ancora più diffuso
nella costruzione dei violini. Tuttavia, come ci dice anche il liutaio Eric
Sanderson, nei paesi anglosassoni si prediligono altri legni autoctoni:
"Io credo nel sicomoro e nei legni inglesi. [...] Perché dovremmo usare tutti l'acero italiano? Gli italiani non avrebbero forse usato il sicomoro se fossero vissuti qui? [...] Usavano faggio, usavano pioppo, usavano ... come, perfino per i filetti... pero qui, ebano lì, tutto quello che avevano sotto mano." (Una musica costante, 3.13 pag 163)
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